Sì ai superbond. E ai fondi speciali

Per Basile gli investimenti nelle reti possono essere coperti del risparmio. Italiano e internazionale.
Maurizio Basile, 57 anni, da qualche mese amministratore delegato degli Aereoporti di Roma, è convinto che un sistema di superbond emessi da una holding a capitale misto possa sbloccare gli investimenti nelle reti: “In un Italia dove la finanza classica si muove in vista di ritorni elevati e la pubblica amministrazione non ha più soldi, la proposta di Pellegrino Capaldo offre una terza via che merita di essere approfondita”. Dopo aver privatizzato l’Ente italiano tabacchi, alla cui guida era stato chiamato da Vincenzo Visco, Basile ha provato a disboscare la giungla dell’Anas da condirettore generale, ma invano, nonostante l’appoggio di Giulio Tremonti. E ha poi retto la direzione finanze, controllo e partecipazioni del gruppo Ferrovie dello Stato. Ora è tornato al privato, in Adr, infrastruttura aereoportuale in monopolio naturale come tutti gli scali, un tempo dell’Iri e ora controllato da Gemina (Romiti, Benetton, Clessidra, Mediobanca e altri) e dall’australiana Macquarie Bank.
Per Capaldo il profitto si giustifica con il rischio. Nelle infrastutture costi e ricavi sono prevedibili, e dunque il rischio è basso…
“Il professor Capaldo, con la sua lucida semplicità, parla delle infrastrutture già in funzione. Nelle autostrade, il rischio teorico riguarda il traffico: che, però, cresce quasi sempre più dei piani finanziari. E gli investimenti sono ripagati in tariffa. Per le infrastrutture nuove il discorso è diverso, ma non più di tanto. Nelle infrastrutture c’è un problema di proprietà e uno di sviluppo. Alcune potrebbero essere privatizzate del tutto, altre parzialmente. Si tratta di transazioni qualche volta enormi che, dati i vincoli del bilancio dello Stato, vanno progettate in modo tale da garantire lo sviluppo delle reti al minor costo possibile per l’utenza”.
Un vasto programma.
“Le quote di controllo delle reti, dice Capaldo, potrebbero essere trasferite a una holding finanziata attraverso obbligazioni a rendimento basso, ma costante e, aggiungerei, in leggera crescita per recuperare l’inflazione. Il ricavato andrebbe ovviamente portato in detrazione del debito pubblico…”.
Capaldo propone una garanzia assicurativa sui rendimenti.
“È un punto decisivo: con una spesa relativamente bassa si darebbe a questi bond una qualità tale da renderli più attraenti dei titoli di Stato e meno onerosi dei debiti bancari. Altre serie di queste obbligazioni, aggiungerei, potrebbero finanziare lo sviluppo delle reti così da ridurre i trasferimenti a carico della fiscalità generale. Ma si può ricorrere anche ad altre soluzioni…”.
Altrenativa?
“No. Complementari. Soggetti pubblici o privati possono promuovere fondi specializzati, capaci di attivare investitori istituzionali anche internazionali come i fondi pensioni: che, avendo passività a lungo termine e prevedibili, hanno bisogno di attività ad analoga scadenza, con rendimento costante e in qualche modo indicizzato…”.
Per esempio quelli varati da Macquaire…
“Macquaire è un investitore a lungo termine. Ma anche altre banche internazionali stanno entrando nel business delle infrastrutture con diverse modalità. In Italia non abbiamo molti fondi pensioni, ma una diffusa propensione al risparmio che va soddisfatta”.
Il fondo di private equity Clessidra varerà un fondo dedicato alle infrastrutture.
“È un primo tentativo che, dato l’oggetto dell’investimento, si ispira a una logica diversa da quella della casa madre”.
Lei, in premessa, distingueva tra le infrastrutture in attività e le nuove.
“Per queste ultime va recuperata la terza gamba delle infrastrutture: il project financing. In Italia, finora, ha funzionato poco, anche perchè troppo spesso il concedente è stato al tempo stesso stazione appaltante. Si è creata una confusione di ruoli che rende incerte le regole e malsicuri i tempi, con la conseguenza di aumentare i rischi di costruzione e poi di gestione della concessione, e da giustificare perciò l’attesa di più elevati profitti. In questo la pubblica amministrazione ha gravi responsabilità”.
Sta parlando dell’Anas?
“Il ministro Di Pietro, mi pare, punta alla separazione netta tra concedente e concessionario. E fa bene.”
Lei ha fatto esperienza nelle Fs. Anche qui si possono attrarre capitali privati?
“La rete ferroviaria ha ritorni assai più problematici, dunque non può reggere il project financing. Qui la remunerazione del capitale investito deriva dalla vendita delle tracce a Trenitalia e agli atri operatori. Una più puntuale e radicale distinzione tra il concessionario, che realizza e gestisce la rete, e le aziende di trasporto sarebbe la premessa per mobilitare, attraverso fondi di investimento specializzati e bond con le caratteristiche che abbiamo detto, risorse private sulla stessa infrastruttura”.
Con gli aereoporti, invece, il cash flow è ampio e abbastanza stabile nel tempo.
“Molto dipende dall’evoluzione delle strutture proprietarie. Nel mondo, gli scali aeroportuali appartengono a enti pubblici come le public authority americane, che tendenzialmente ne offrono i servizi al costo oppure appartengono alla pubblica amministrazione. Che li affida a società di capitali pubbliche o private le quali, avendo spesso profumatamente pagato la concessione, si attendono un adeguato ritorno. L’entità e la struttura del capitale investito non possono non condizionare il prezzo del servizio per i cittadini e le imprese”.
Massimo Mucchetti